Di Luca Improta

I liposarcomi rappresentano la variante istologica più frequente tra i sarcomi del retroperitoneo. Essi, nelle varianti ben differenziata e dedifferenziata, rappresentano tumori maligni rari e di complessa gestione clinica a causa dell’alto rischio di progressione. Da un punto di vista biologico, frequenti sono le recidive locali, mentre la comparsa di metastasi è possibile nelle forme di alto grado (ovvero nei liposarcomi più aggressivi).

La chirurgia è attualmente il trattamento di scelta. Negli ultimi due decenni, è stato dimostrato come una chirurgia estesa sia in grado di massimizzare le possibilità di cura. L’intervento chirurgico, per essere oncologicamente efficace, deve prevedere oltre l’asportazione del tumore, anche l’escissione degli organi che lo circondano – solitamente rene, surrene, muscolo psoas e una porzione di colon. Trattamenti complementari come radioterapia e chemioterapia possono essere proposti per aumentare le possibilità di cura, solitamente nel preoperatorio e nelle forme più aggressive. Il valore di una chirurgia estesa è dimostrato, oltre che dal beneficio indiscutibile in termini di sopravvivenza, anche dall’evidenza che gli organi circostanti rimossi presentano spesso microscopici segni di malattia, sebbene possano sembrare sani sia agli accertamenti preoperatori che durante la chirurgia.

Numerosi studi sono stati fatti per cercare di identificare i pazienti a più alto rischio di progressione. I fattori prognostici chiave individuati (età del paziente, tipo, grado e dimensioni del tumore) sono quindi stati combinati in un nomogramma – uno strumento di calcolo – in grado di produrre una stima di questo rischio. Conoscerlo nel modo più accurato possibile ci consentirà di personalizzare sempre di più il percorso terapeutico dei nostri pazienti, migliorando i risultati delle cure.

In un recente studio, svolto in collaborazione con l’IRCSS Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, abbiamo esplorato se la presenza microscopica di malattia negli organi asportati potesse essere un ulteriore fattore rilevante nel definire la prognosi. Abbiamo analizzato i dati di oltre cento pazienti, seguiti per un periodo di circa dieci anni, identificando come la presenza di infiltrazione di organo possa essere predittiva per un rischio maggiore, indipendentemente dagli altri fattori noti.

I risultati di questo studio sono stati presentati all’incontro annuale della Società Europea di Chirurgia, che si è svolto a Lisbona lo scorso mese. Attualmente, un più grande studio di conferma è in corso e coinvolge tutti i maggiori centri mondiali che si occupano di sarcomi retroperitoneali. Se questi risultati verranno confermati, avremo a disposizione un ulteriore strumento per migliorare ancora l’accuratezza e la precisione delle nostre cure.

 

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